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L’evoluzione della specie, il progresso tecnologico e forse anche il benessere ci stanno sicuramente facendo compiere una involuzione posturale. Massima attenzione quindi a tutto quello che ci ruota quotidianamente attorno, ma certamente occhi ben aperti e fari puntati sul nostro sistema posturale – sempre più sotto stress e sempre con meno capacità adattative – ed a tutto ciò che lo regola: occhi, denti, vestibolo e piedi.
Molti anni sono passati da quando la Società Francese di Posturologia (1980) e subito dopo il prof. Martins Da Cunha (1986) studiarono in modo molto approfondito tutte le conseguenze a cui un disordine posturale potesse portare. Questi prima esaminarono tutti i sintomi presenti in un quadro di deficit posturale, da cui il nome “sindrome da deficit posturale”, e cercarono poi di creare un protocollo diagnostico con sette semplici test (huit lecons de posturologie, 1990) in grado di fare diagnosi, ovvero cercare la porta d’ingresso o di disturbo del sistema posturale: test di Romberg, manovra di Bassani, manovra di De Cyon, convergenza oculare, convergenza podalica, test di rotazione della testa, marcia di Fukuda.
Sono anche molti gli anni in cui Goodhearth (1976) studiò kinesiologicamente la relazione dente-muscolo o in cui si determinarono osteopaticamente i movimenti cranio-sacrali, o in cui nacque la chiropratica. Insomma tutto ciò per sottolineare quanta strada sia stata fatta e quanti progressi siano stati compiuti in campo posturale.
Qualunque sia il tipo di approccio diagnostico o terapeutico, osteopatico o chiropratico, posturologico o kinesiologico, dobbiamo essere in grado di ricercare dal nostro corpo informazioni tali da determinare una priorità d’intervento. Non importa di certo il tipo di approccio, ma interessa sicuramente che qualunque esso sia dia lo stesso risultato permettendo così di far comunicare, attraverso lo stesso linguaggio, un posturologo plantare con un fiasiatra osteopata, o con un odontoiatra kinesiologo.
La vera differenza verrà proprio fatta dal grado di capacità di interrelazioni professionali, o meglio dal gioco di squadra, altrimenti come posturologi tuttologi la nostra strada sarà veramente limitata. Abbiamo tutti bisogno di tutti; un plantare deve essere sempre armonizzato con un trattamento osteopatico con un programma di ginnastica posturale, altrimenti giocheremo con la postura dei nostri pazienti a tiragli la coperta, scoprendo prima una parte, poi un’altra e poi un’altra ancora.
Entrando un po’ più nello specifico, tanto di cappello a chi riesce a fare tutto e bene, ma la tendenza delle maggior parte degli odontoiatri è quello di indirizzarsi verso una iperspecializzazione, limitando così le proprie competenze generiche. Il grosso vantaggio è sicuramente quello di avere sempre più specialisti competenti, ma di conseguenza lo svantaggio grosso è quello di perdere il visus medico della nostra professione. Dovrebbe essere proprio l’odontoiatra posturologo a mantenere questa visione a 360° sul nostro paziente immaginando non più un dente con attorno un individuo, bensì un individuo che si tiene in equilibrio sui piedi, grazie all’aiuto degli occhi e del sistema vestibolare, il quale ha in bocca molti denti che si toccano tra loro da tenere sotto controllo.
Tutto questo per evidenziare quanto sia differente un bite eseguito con questo tipo di approccio, rispetto a quello eseguito occasionalmente da un chirurgo maxillo-facciale, o da un endodonzista o da un protesista. L’odontoiatra posturologo può contare su di una serie di conoscenze cliniche oltre che ad una serie di ausili computerizzati in grado di mettere facilmente in relazione l’appoggio dei denti (occlusione) con i carichi posturali, il baricentro corporeo con l’equilibrio.
Si parla di stabilometria e posturometria, ormai divenuti ausilio diagnostico e terapeutico fondamentale per qualunque approccio odontoiatrico olistico. Si può contare inoltre su EMG della muscolatura masticatoria, elettrochinesiografia mandibolare per valutare la sua cinetica nei tre piani dello spazio oppure evidenziare elettronicamente con il T-Scan i contatti occlussali.
Personalmente reputo insostituibile l’aiuto della posturometria nell’approccio diagnostico e terapeutico. Questo tipo di esame computerizzato è una evoluzione della oramai conosciutissima stabilometria, con accorgimenti più specifici nell’individuare specifiche zone di carico posturale secondo il noto schema di Kapandj, ovvero tre punti per piede (tallone, V° e I° metatarso) e dividere il baricentro in uno per la parte destra e uno per quella sinistra. Fondamentalmente ho iniziato ad utilizzare la posturometria come semplice ausilio diagnostico che sommato alla tradizionale stabilometria mi permetteva di individuare l’eziopatogenesi del problema posturale e di determinare una priorità d’intervento.
Già nel 1980 il prof. G.M.Gagey e la sua scuola di posturologia pubblicavano un approfondito studio sull’utilizzo della pedana stabilometrica con analisi dei suoi valori numerici e loro specifica interpretazione. Semplificando, si riesce tramite questo esame ad escludere o ad evidenziare l’afferenza interessata; evidenziare il contatto occlusale vuol dire in pratica far rimanere il paziente durante i 51” dell’esame in serramento, mentre per escluderlo si interpongono dei rulli di cotone tra le arcate; per evidenziare l’afferenza visiva si resta ad occhi aperti durante l’esame, mentre per escluderla si resta ad occhi chiusi; così con un minimo di fantasia ci si riesce anche per le afferenze visive e podaliche.
Questo tipo di accorgimenti si possono utilizzare in modo efficace anche durante i test posturologici o kinesiologici, e come detto con qualunque tipo di approccio strumentale o clinico che sia l’eziologia della nostra posturopatia dovrà essere la stessa.
Per curiosità è molto facile e stimolante confrontare un test posturologico con un esame stabilometrico: se il nostro paziente manifesta un grosso peggioramento dopo l’esame in serramento dentale vorrà dire che facendo compiere un test di Fukuda a denti serrati avrò uno spostamento rispetto allo stesso test effettuato con rulli di cotone tra i denti; lo stesso con il test di rotazione della testa o di convergenza podalica.
Partire già con una buona base vuol dire veramente molto per una corretta riabilitazione posturale, quindi fare diagnosi è il punto più importante da cui partire: ricordiamo bene che non tutti i mal di schiena si risolvono con un plantare, o tutti i mal di testa con un bite. Generalizzare è il modo migliore per “spostare” il problema da un distretto ad un altro: potrebbe anche passare il mal di schiena con un plantare, ma dopo qualche mese l’insorgenza di una cervicalgia o di un dolore scapolo omerale sarà sempre causato dallo stesso problema non ancora risolto e non ancora esattamente diagnosticato. Quindi prima di protocollare o standardizzare la nostra terapia la massima attenzione deve essere rivolta alla diagnosi.
Nella mia pratica quotidiana un grande aiuto l’ho ricevuto da una ricerca che ho personalmente svolto nel 1998 con l’aiuto del mio staff nel mio centro, sfruttando come stimolo determinante quanto ottenuto e pubblicato a conclusione del Congresso “posture, occclusion and general health” svoltosi a Milano nel 1997. In questa sede professori di molte università italiane ed europee hanno stilato una consensus conference nella quale si negava una relazione scientifica tra occlusione e problemi posturali. Ogni bite e qualunque trattamento odontoiatriaco al fine di risolvere deficit posturali erano tutti errori, tutti inutili, tutti overtreatment. Niente male per chi fa di questo la propria vita professionale come me: molto stimolante! E’ stato in effetti molto stimolante perché con la collaborazione di amici, conoscenti e pazienti ho potuto realizzare una ricerca con il solo ed unico scopo di evidenziare una relazione scientifica tra occlusione e postura.
Per eseguire questa ricerca sono stati selezionati 150 pazienti tra i 18 e i 45 anni in equilibrio posturale ed occlusale. Per equilibrio posturale abbiamo inteso pazienti asintomatici, senza difetti morfostrutturali e con valori stabilometrici e posturometrici nei range di normalità. Per equilibrio occlusale abbiamo inteso invece pazienti in normo-occlusione dentale, senza restaurazioni protesiche (corone, ponti, ecc.), non più di quattro otturazioni, assenza di parafunzioni e patologie dell’articolazione temporo-mandibolare ed esaminati con T-Scan 2 per evidenziare l’assenza di precontatti occlusali.
Sebbene non sia stato ricercato un paziente particolare da inserire in questo protocollo di ricerca è inimmaginabile la difficoltà che abbiamo avuto a trovare soggetti con queste caratteristiche di normalità ed equilibrio.
Ogni passaggio tecnico è stato eseguito con standard rigorosi di ripetibilità in modo da non inserire variabili in un protocollo già molto articolato. Dopo aver scelto ed individuato i pazienti, è stato applicato loro un bite “iatrogeno”, ovvero con cinque stimoli occlusali in grado di creare nella loro occlusione normale un precontatto, una zona dove i denti toccano prima. Tutto questo con lo scopo di valutare quale effetto avesse tale precontatto occlusale sulla loro postura equilibrata.
Dopo aver quindi costruito questo bite nell’arcata inferiore con cinque precontatti rimovibili di 2 mm ciascuno, uno nella zona incisiva, uno nella zona premolare destra ed uno in quella sinistra, è stato applicato con un solo spessore inserito e lasciato nella loro bocca per 12 ore. Dopo tale periodo di tempo il paziente è stato esaminato con stabilometria e posturometria con in bocca il bite con un solo precontatto inserito. E’ stato così inserito il secondo precontato eliminando il precedente, attese 12 ore e riesaminato con pedana stabilometrica e posturometrica.
La stessa cosa è stata fatta per tutti e cinque i precontatti, ricordando che il bite durante le 12 ore di utilizzo aveva solo un precontatto inserito e nella rivalutazione strumentale dopo 12 ore il paziente veniva esaminato con il bite in bocca, serramento dentale ed occhi chiusi, in modo tale che come detto precedentemente, si potesse avere un’amplificazione solo della componente occlusale.
I risultati sono stati tanto uniformi quanto sorprendenti: tutti i pazienti dopo aver tenuto il precontatto sul molare sinistro, manifestavano uno spostamento omolateralmente in corrispondenza del tallone, evidenziato con la posturometria, e posteriormente nel III quadrante con stabilometria. Con il precontatto sul premolare sinistro uno spostamento omolaterale sul V° metatarso e latero-lateralmente a sinistra. Con il precontatto sugli incisivi uno spostamento asimmetrico sul I° metatarso e anteriormente tra I e II quadrante. Con il precontatto sul premolare destro uno spostamento omolaterale sul V° metatarso e con quello sul molare destra uno spostamento omolaterale sul tallone.
Come si evidenzia dalle immagini corrispondenti esiste una certa logica grafica tra precontatto occlusale, zona di carico posturale e localizzazione del gomitolo stabilometrico, così evidente da non necessitare il commento del seguente grafico che sovrappone le zone di precontatto occlusale con le cinque classi di spostamento stabilometrico.
Tale ricerca è iniziata come stimolo e come pseudo-polemica e finita per farmi vedere il mio lavoro con una visione ancora più convinta e facilitata. Infatti nulla di più facile con questi risultati e queste basi che poter fare una diagnosi ancora più specifica e precisa, o poter equilibrare il mio bite senza neanche più l’aiuto di carte occlusali colorate. Se durante un esame posturometrico si evidenzia un problema occlusale con un grosso carico sul tallone di sinistra vado convinto più che mai di poter trovare un problema odontoiatrico nella zona molare sinistra come una vecchia otturazione o una capsula in ceramica o un dente del giudizio, riducendo così al minimo la possibilità di una diagnosi errata. Ed in fatto di terapia meglio ancora perché si riesce in modo molto più chiaro ad equilibrare un bite perché il risultato ottimale non lo ottengo più marcando i contatti con carte colorate ma mi avvalgo quasi esclusivamente di quello che mi dice la sua postura… basta saperla leggere.